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Non ci resta che rider?

Aggiornamento: 17 giu 2020

Andrea Bonessa co-portavoce Verdi Europa Verde Milano





La questione dei rider, le indagini che la magistratura sta conducendo e la situazione di sfruttamento che sta emergendo sono la spia di ciò che potrà essere il mondo del lavoro nei prossimi anni.

La logica del trasferimento della proprietà dei mezzi di produzione a carico del lavoratore, di cui i rider sono plastica espressione, è alla base dello schema del telelavoro che molti vedono come la panacea di tutti i mali, dimenticando il valore sociale del lavoro, di aggregazione e di antidoto alla parcellizzazione individuale, all’atomizzazione delle personalità e del dissenso.

Al rider viene fatto credere di essere un piccolo imprenditore, padrone dei tempi, dei modi e dei mezzi, nel suo caso la bicicletta. Non è così, naturalmente: lui ha un rischio d’impresa, questo sì, ma non i ricavi, che finiscono nelle mani del moderno caporalato. In altre parole, il passaggio da lavoro a sfruttamento, da salario a schiavitù, da diritti a doveri è molto breve. Occorre vigilare.

La nostra attenzione dovrà concentrarsi sulle differenze tra smart working e telelavoro, che sono cosa diversa e presuppongono differenti rapporti di forza tra lavoratore e datore di lavoro.

Dovremo pretendere che vengano rispettati tutti i diritti fino a oggi acquisiti con la contrattazione collettiva, nazionale e aziendale, aggiungendo un nuovo diritto fondamentale: quello alla disconnessione. Per coniare uno slogan: nuovi diritti per nuovi lavori.

Se ciò non avverrà, il rischio di sentirsi dire “già che sei a casa, restaci pure” sarà sempre maggiore soprattutto in questo periodo post Covid 19.

Siamo favorevoli a tutto ciò che ridurrà i consumi, gli spostamenti e l’impatto ambientale delle nostre attività.

Ma ricordiamoci che ogni idea ecologica, e lo sviluppo della digitalizzazione va in questa direzione, deve rispondere a un’ecologia delle idee che pone il benessere al primo posto.

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