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Democrazia integrale

Aggiornamento: 17 giu 2020

Per fare città ci vuole integrazione




Silvia Pettinicchio membro dell'esecutivo Verdi Europa Verde di Milano

Manca più o meno un anno alle elezioni amministrative milanesi, e oggi, più che mai, sentiamo la necessità di dare voce a chi rimane fuori dai giochi, a chi, nonostante contribuisca al famoso PIL del nostro paese e della nostra tanto laboriosa città, ha ancora troppe poche tutele. Parlo dei cittadini stranieri.

A Milano risiedono più di un milione e 300 mila persone. Di questi 268.215 sono stranieri residenti regolari. Vivono, lavorano e pagano le tasse da noi. Alcuni sono anche nati qui. Parlo delle badanti, certo, ma anche di commercianti, manovali, addetti delle imprese di pulizia, impiegati nella sicurezza, ristoratori, addetti alla logistica, magazzinieri, e i sempre più numerosi riders.

Queste persone, questi lavoratori, padri e madri, se cittadini non Comunitari, non hanno diritto di voto, neanche alle amministrative. Si parla di oltre 217.000 persone. Poco meno del 20% della popolazione complessiva!

È possibile che un residente regolare, che usa i mezzi pubblici, mandia i suoi figli a scuola, paga un affitto, ha un conto in banca, usufruisce della sanità, consuma e produce ricchezza non possa contribuire alla scelta del sindaco? Peggio ancora: del Consiglio del suo municipio, unità amministrativa da sempre più rappresentativa del tessuto e dei bisogni del territorio?

Per essere davvero universale il suffragio dovrebbe consentire a tutti gli attori di una comunità di votare, specie a chi lavora qui da molti anni. L’Italia si trova in una situazione giuridica paragonabile a quella ottocentesca, in cui solo la fascia sociale più elevata e colta poteva votare, mentre la forza lavoro non ne aveva il diritto. Oggi la distinzione è sempre di classe: non il titolo di studio, ma un presunto privilegio di sangue fa la differenza tra chi sceglie e chi subisce le scelte. Ma la percezione ha diverse sfaccettature: tutte le pagine social come “Abolizione del suffragio universale” e il livore snob verso “la gente” fanno parte di questo campionario retorico, non meno dei “Prima gli italiani”. Secondo questa visione solo chi è colto “non vota a caso” e può dire la propria (secondo la sinistra), oppure “chi proviene da una consolidata appartenenza culturale cristiano occidentale” (secondo la destra). Ma questo non è un ragionamento consono a una democrazia evoluta.

Quindi: diritto di voto per amministrative e politiche per tutti i residenti regolari, UE e extra UE da almeno 5 anni.

Farei anche di più: riaprirei il dibattito sul diritto alla cittadinanza italiana. L’Italia, in Europa, ha le regole più restrittive, ha evitato di aggiornarle e di stare al passo coi tempi, politiche promosse dai tanti governi di centro-destra e dalle scelte pavide dei governi di centro-sinistra. Come Verdi Milanesi e Italiani, ci facciamo carico di questa battaglia: inclusione vera e profonda attraverso una revisione del diritto di cittadinanza. IUS SOLI all’americana, per tutti i bambini nati in Italia, (in USA lo ius soli ovvero il cosiddetto birthright citizenship è sancito dal Quattordicesimo emendamento della costituzione, che è stato introdotto nel 1868.)

Ma lo ius soli non basta. Vanno integrati attraverso lo ius culturae anche coloro i quali non essendo nati in Italia, sono arrivati qui nei primi anni di vita, e hanno frequentato e completato un intero ciclo di studi.

È una battaglia fondata sulla visione ecologista e circolare della società: un ecosistema dove “nessuno resta indietro”. È una battaglia Verde.


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