Net Gen e la necessità post covid di una politica profetica
Silvia Pettinicchio, membro esecutivo Verdi Europa Verde di Milano
Arcipelago Milano 3 settembre 2020
3 settembre, prova accademica di new normality post-Covid: 50 studenti del secondo anno di economia affrontano il primo esame in presenza dopo il lockdown. Le regole sul distanziamento sono seguite alla lettera: gli assistenti indicano ai ragazzi dove sedersi. Tre per fila in un’aula che solitamente contiene 200 persone. Tutti sono stati registrati all’entrata, è stata loro provata la temperatura, ognuno indossa la mascherina. Ai noi tre docenti sono state consegnate anche visiera e guanti. In più, sulle nostre scrivanie, c’è una barriera di plexiglass che ci separa dal resto dell’aula. Ogni volta che tocchiamo un compito o una penna dobbiamo disinfettarci le mani col gel. “Massima precauzione” ha detto l’addetto all’ingresso.
Dopo pochi minuti uno studente cerca di abbassarsi la mascherina sotto il naso. Viene ripreso subito.
“Prof, non respiro”
“Neanche noi” risponde secca la collega da dietro la barriera e poi aggiunge, “mica siamo in discoteca”.
L’energia che circola per la stanza è cupa, e non è solo la tensione dell’esame. Mi chiedo: sarà così ogni giorno del nostro autunno? Ogni giorno di lezione?
Qualcuno dei ragazzi è abbronzato. Ma la maggior parte no, come chi ha passato l’estate al chiuso. A studiare, forse, ma sicuramente non al mare nelle isole della movida. Quelli che s’intravedono dietro le mascherine sono gli occhi di bravi ragazzi, con le loro borracce, gli zainetti appoggiati per terra, le magliette di cotone e i jeans.
Nessun atteggiamento strafottente, nessun trucco pesante, nessuno sguardo annebbiato dall’alcool, di quelli che ci facevano vedere ai telegiornali. Si passano le mani nei capelli, si sventolano con i fogli per il caldo e la mancanza d’aria. E mentre supervisiono lo svolgimento dell’esame mi dico che c’è qualcosa che non torna nell’ennesimo attacco contro di loro. Perché ci scandalizziamo per gli assembramenti in discoteca e per quelli sui mezzi pubblici no? Per quelli in spiaggia e non quelli in fabbrica? Qual è la ratio? L’idea moralista del sacrificio? Forse perché in discoteca ci si diverte, e ad andare al lavoro no? Forse il virus accelera a seconda del tasso di divertimento?
Si è detto tanto sulla tendenza collettiva a cercare un capro espiatorio per i contagi: prima c’erano i runner, i genitori dei bambini nel passeggino, i proprietari dei cani. Poi gli anziani che andavano a fare la spesa tutti i giorni, e, per tutta l’estate, i ragazzi in discoteca. E ora gli insegnanti che non vogliono fare il test sierologico
Tutti a scagliarsi con rabbia contro le varie categorie, a turno, sui social e sui media tradizionali, con tanto di foto taroccate per sottolineare l’irresponsabilità dei cittadini, loro sì, la vera causa della mancata sconfitta del virus.I governanti no, non hanno colpe. Non hanno responsabilità se hanno permesso alle discoteche di ri-affollarsi, alle spiagge di riempirsi, ai ristoranti di ri-aprire. Il governo ha fatto, sulla nostra pelle, una scommessa rischiosa: lasciare che la macchina dell’economia e quella delle vacanze ripartissero senza eccessivi ostacoli, sperando che alla fine, quando la settimana prossima torneremo a scuola e al lavoro, il disastro sanitario sarà ancora contenibile.
Mi sono quindi fatta raccontare direttamente dalla net gen, i ragazzi nati dal 1997 a oggi, come hanno vissuto i mesi del lockdown, le vacanze, questo periodo sospeso tra pandemia e new normality, e le aspettative per l’inizio dell’anno scolastico. Vedrete che l’immagine che viene fuori è abbastanza diversa da quella che ci siamo immaginati o che abbiamo vissuto noi adulti.
Noia ma anche tante creatività e comunicazione con gli amici. Nessun ripensamento generale del sistema, della propria vita, dei propri valori. Poca fiducia nelle istituzioni, nel sistema scolastico, che osservano con occhi attenti. E tanta voglia di tornare alla normalità, come se niente fosse successo.
Michelangelo 9 anni di Milano: “Durante il lockdown mi ricordo che uscivo tutti i giorni con il cane, per 10 minuti. Per questo diciamo che non è stata molto dura, anche se ogni tanto le persone ci urlavano dalle finestre che dovevamo tornare a casa. Avevo più tempo per fare le mie costruzioni, avevo più tempo libero per fare quello che mi pareva. Mi ricordo i vigili che passavano nel mio quartiere a controllare le persone che erano in giro e la mamma stava fuori per 2 ore per fare la spesa perché c’erano le file ai negozi. E anche i video degli sport da praticare in casa. Erano buffi. Mi piaceva stare sempre con mamma e papà in casa anche se ogni tanto mi rompevano l’anima perché dicevano che esplodevo e loro non riuscivano a lavorare. Non mi mancavano i miei compagni di scuola.
Poi siamo andati in vacanza e le mie vacanze mi sono piaciute. Mi sembrano uguali agli altri anni tranne che non ho fatto nessun campo estivo, quindi mi sono piaciute di più. L’unica differenza è la mascherina che mi devo sempre portare dietro. Comunque io non ho paura del Covid. Perché rispetto tutte le regole. Ora che ritorniamo a Milano e ricomincerò la scuola me la immagino più difficile del previsto perché farò la quarta. Tutte le regole sul distanziamento, le mascherine e il gel non mi preoccupano. Ci penseranno gli addetti alla sicurezza. Ma credo che le maestre mi romperanno il doppio per via di tutte queste regole. Mi diranno: “bla bla, fa questo, fa quello. Metti la mascherina, abbassa la mascherina.
Non sono preoccupato invece se tra i miei compagni ci sarà qualche positivo. Io sono uno che risolve i problemi: mi comprerò una barriera di plastica, 20 bottigliette di gel, un sacchetto di guanti e tante mascherine di stoffa, e mi laverò continuamente le mani e disinfetterò il mio materiale e il mio banco. E inventerò un metodo per rendere il mio materiale scolastico anti-covid. Sono pronto!”
Lucy, 15 anni, di Lecco. Durante il Covid si trovava in Irlanda col papà dai nonni, dove è stata costretta a fermarsi fino ai primi di giugno, quando hanno riaperto la frontiera ed è potuta rientrare a casa.
“Questo periodo di lockdown non è stato difficile ma piuttosto molto noioso. Passavo le mie giornate con il mattino le video-lezioni e alla sera le chiamate con amici. Ogni giorno era sempre la stessa cosa. Mi svegliavo alle 8, accendevo il computer, preparavo i libri e incominciava la spiegazione del nuovo argomento poi a mezzogiorno finivo, mangiavo velocemente e andavo a guardarmi qualcosa su Netflix o gli infiniti video di Tik tok. Cenavo e subito dopo andavo a fare video-chiamate, che potevano durare anche fino alle 3 del mattino. Le mie giornate erano così, tutte uguali. Poi magari capitava di fare qualche esercizio fisico giusto per tenersi un minimo in forma o di guardare qualche video di cucina per preparare qualcosa di nuovo. Per riassumere possiamo dire che è stato un periodo piuttosto noioso e monotono. Finita la quarantena però tutto è migliorato, ho rincontrato tutti i miei amici e sono riuscita a farmi una bella vacanza in Puglia. Ormai tutto sembra essere normale a parte le mascherine che bisogna portarsi in giro sempre. Adesso non si torna di corsa a casa perché si sono dimenticate le chiavi ma perché si è usciti senza la mascherina. Mi sto ancora abituando a tutti i cambiamenti, ma non è qualcosa di troppo drastico. Si sopravvive. Per la scuola invece secondo me non cambierà tantissimo si andrà avanti come sempre ma con qualche precauzione in più. Credo che questa esperienza mi abbia cambiata, anche se non so come. Credo di essere una persona migliore.”
Leo, 17 anni di Roma: “La sera in cui hanno annunciato il lockdown mi sembrava uno scherzo. Ho pensato mi peserà un sacco, starò male. Mi mancherà la scuola, gli amici. Invece stando in casa mi è partita una vena creativa pazzesca, ho cominciato a suonare di nuovo, ho avuto un sacco d’ispirazione. Il non potere vedere gli amici non mi è pesato troppo perché sono una persona che sta bene da sola. E poi tra amici potevamo comunicare via chat, sui social. Ogni tanto andavo a fare la spesa e incontravo brevemente il mio migliore amico che vive vicino a me. Per quanto riguarda la scuola Il mio rendimento si è alzato durante il lockdown. Fare le interrogazioni da casa e non davanti a tutti mi toglieva l’ansia, quindi rendevo di più. Mi sono informato molto sul Covid soprattutto nel primo periodo. Ero abbastanza preoccupato per il virus, leggevo un sacco di giornali online. Poi l’ansia mi è passata e ho seguito di meno la faccenda. Durante l’estate poi mi sembra che le cose siano tornate praticamente normali. Non abbiamo vissuto molte restrizioni.
Sono stato a Milano, nelle Marche e in Puglia. Mi sembra che le persone abbiano potuto fare più o meno tutto. Sulla faccenda delle discoteche posso dire questo: io in discoteca non ci sono mai andato perché non m’interessa. Però se lasci le discoteche aperte, è logico che i ragazzi ci vadano. Dovevano lasciarle chiuse in primis. Non aveva senso aprirle e poi chiuderle il 16 agosto. Non ha senso molto di quello che è stato fatto. Pensa ai cinema e teatri, chiusi fino all’ultimo e poi riaperti con mille cautele. Le discoteche no. Perché? Ora che torno a casa non so proprio cosa aspettarmi. Non ci sto capendo nulla. La mia scuola non ha comunicato niente sull’organizzazione dell’anno scolastico. Mi aspetto purtroppo che sarà tutto come prima. Forse con qualche dispenser di Amuchina in più. Non ho molta fiducia: ci hanno pensato troppo tardi.
Questa esperienza non mi ha cambiato molto. L’ho passata bene. Forse riesco a fare più cose con me stesso, da solo. Per quanto riguarda l’Italia, invece, a me sembra che tutti vogliano che finisca, che torni tutto come prima. Vogliono dimenticarsi di questa cosa più in fretta possibile e tornare a fare le cose di sempre. Non credo che ci lascerà grossi insegnamenti. “.
Eugenio, 19 anni di Brindisi: “Quello che per me era lo spazio della casa, il concetto e la sensazione, di casa come luogo sicuro, nei mesi di chiusura si è rafforzato. La casa è diventata un luogo da vivere e sperimentare, non soltanto un luogo di “transito”. Non era più un posto da cui non voler evadere, bensì un luogo di completezza del sé e del noi, rappresentato dalla mia famiglia ma anche dagli amici con cui ero rimasto in contatto. Per quanta gioia avesse comportato la riapertura, la possibilità di rincontrare gli sguardi ha portato anche molte ansie. Non ero più al sicuro tra le pareti di casa, non c’ero più solo io, ho dovuto rimparare a confrontarmi con l’altro.
Tanto che, paradossalmente, la difficoltà più grande è stata rincontrare fisicamente la mia cerchia di amici. Un momento tanto desiderato, ma che abbiamo vissuto col distanziamento e le paure del virus, e non con quel calore e con gli abbracci che c’eravamo immaginati. Poco per volta però ci siamo rilassati e siamo riusciti a vivere l’estate in modo più che completo: l’attenzione e la prudenza hanno creato ricordi irremovibili.
Ora che ho ricominciato la scuola in una città lontana da casa è ritornata l’incertezza, più forte che mai. E’ finita la libertà delle vacanze, la piena condivisione con gli amici e sono tornate le regole rigide, il distanziamento, la mancanza di sorrisi. Però c’è anche il lato positivo: da pochi giorni ho iniziato a muovermi in bicicletta, per evitare gli affollati mezzi pubblici. Questo fatto mi sta permettendo di scoprire molte parti della città in cui studio che non conoscevo.”.
Antonello 23 anni di Milano: “Dopo un paio di settimane di lockdown mi sono abituato: avevo la mia routine e avevo stabilito un nuovo concetto di normalità. Ho fatto l’ultimo semestre di accademia online e devo dire che la didattica a distanza rende tutto più noioso e monotono da seguire, ma d’altro canto ti permette anche di organizzarti un po’ più a modo tuo. Personalmente mi è mancata la vita universitaria e ho capito quanto sia importante per la formazione accademica. Come tutti anch’io ho trovato le mie abitudini quotidiane per scandire il tempo: ho scritto tanto, creato, ma anche perso un sacco di tempo dietro serie tv e videogiochi.
Però tutto sommato non è stato niente di eccessivamente tragico. Le vacanze sono andate bene, ho avuto la fortuna di passare un po’ di tempo in Sardegna e pur rispettando le norme di sicurezza, non ho percepito molto la presenza del Covid, ma d’altronde non ho praticamente fatto vita notturna. In questo periodo lavoro, studio, mi sto riabituando alla vita di città. La sera non faccio molto, vedo quasi sempre gli stessi amici in posti all’aperto.
Un po’ mi mancano i locali con la musica, con gente nuova da conoscere, ma non la sento ancora come un’urgenza. Non penso che questo periodo mi abbia cambiato, non nel lungo termine almeno. Le routine del lockdown sono finite e sono tornato alla normalità.
Penso che neanche il paese abbia subito o stia subendo un cambiamento a lungo termine. In politica il virus è stato un campo da gioco per le ennesime campagne elettorali perpetue. Per quanto il virus abbia tolto il velo a molte contraddizioni della nostra società, non sento una grande aria di cambiamento profondo. Non mi pare che né l’Italia né il mondo stiano procedendo verso l’ecologia, verso la fine dell’ideologia neoliberale e del capitalismo. Basti pensare alle prossime elezioni americane che vedranno osteggiarsi due uomini bianchi miliardari e ambiziosi che propongono sostanzialmente la stessa politica con una retorica leggermente differente.
Più o meno è quello che succede anche in Italia. La differenza è per lo più nella retorica, ma nella pratica i partiti sono difficili da distinguere. L’unico movimento politico sorto in questi mesi che mi sta dando qualche speranza è il BLM americano, perché ha capito che la lotta per l’antirazzismo non può essere combattuta direttamente sul piano istituzionale ed elettorale, essendo il sistema americano costruito sul razzismo, sul colonialismo e sullo sfruttamento in generale. Personalmente quando ho visto la centrale di polizia in fiamme a Minneapolis mi sono commosso. Finalmente un’azione politica reale.
Forse la cosa che vedo più chiaramente come conseguenza del virus è la definitiva perdita di speranza riguardo alla possibilità che una politica realmente rivoluzionaria, dal punto di vista sociale, economico ed ecologico, possa svolgersi all’interno delle istituzioni, attraverso il voto e il parlamento, attraverso i partiti che sono comunque finanziati dai privati. È un pensiero sempre più diffuso tra quei ragazzi della mia età che s’interessano un minimo di politica.”
La cosa che più colpisce di queste interviste è la distanza dei giovani dal modello restituito dai media, impazienti di tornare alla movida e le discoteche, agli assembramenti e gli aperitivi. Sono cresciuti mischiando la socialità reale con quella virtuale, quindi hanno sofferto poco il lockdown. Hanno una rete di atterraggio per la loro socialità, ben collaudata: la rete web, che non è surrogato delle relazioni reali, come potrebbe esserlo per i loro genitori, che più di loro hanno sofferto la distanza da colleghi, parenti e amici, ma è relazione essa stessa.
Non c’è tutto questo anelare la discoteca: gli amici si vedono da casa, da prima del lockdown; ci si chiude in camera, si chatta, come “Gli sdraiati” di Michele Serra. Poi, certo, s’integra con il mondo reale, ma si sopravvive anche senza. Alla fine però, per tutti gli intervistati, dai nove ai ventitré anni, l’otium ha sortito riflessione e pensiero, creatività e inventiva. Come ai tempi antichi, dove soltanto depositando la zappa o la spada, la Gens scopriva l’arte, la letteratura, la poesia.
Non si coglie però un approfondimento sulle cause sistemiche della pandemia, sugli effetti della crisi sull’economia, sugli equilibri internazionali, sul cambiamento permanente di stili di vita ed abitudini, sistemi produttivi e logistica, prossemica e farmaceutica. E se da una parte la famiglia, le mura domestiche, la cosiddetta “capanna” hanno protetto e rassicurato i ragazzi durante il lockdown, se le vacanze sono state vissute con tranquillità e una certa pacata spensieratezza, il ritorno alla normalità a settembre li vede confusi, incerti, traballanti tra un “non cambierà nulla” e la sfiducia totale nelle istituzioni e gli organismi che dovrebbero organizzare la loro quotidianità. Più che sicurezza dal contagio hanno bisogno di certezze, regole, protocolli, informazioni chiare e univoche. Siamo noi adulti a dovergliele fornire, gli insegnanti, i presidi. Regole di buon senso e coerenti, al posto delle accuse incrociate, dei teatrini, delle diatribe tra virologi, delle manifestazioni urlate che affollano TV e social media. Ce lo chiedono con la limpidezza di pensiero che li contraddistingue: Come diceva Lucy, “Se le discoteche le apri, è logico che i ragazzi ci vadano”.
La politica ha una responsabilità enorme, oggi più che mai: mostrare saggezza, coerenza, competenza e lungimiranza. Ha la responsabilità di immaginare e rendere possibile l’immaginato, di guidare il paese, la scuola, i giovani a costruire questa nuova normalità, avendo presente le necessità dei più fragili certo, ma una volta tanto, mettendosi al loro fianco e ascoltandoli veramente. Abbiamo la responsabilità, noi che invece sulle cause della pandemia abbiamo riflettuto, di non farci prendere dall’ansia di tornare alla normalità perduta, quella che ci ha fatto ammalare. Ma di mostrare una società diversa, fatta di tutele certo ma anche di coraggio, di equità e di etica, di ecologia e di umanesimo che dia speranza e che indichi la via. C’è bisogno di una politica profetica.
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