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Costruire sì, ma il futuro.

Aggiornamento: 22 lug 2020

Riattivare il settore delle costruzioni per la tutela delle città e del territorio: non per le grandi opere inutili e per il consumo del suolo.


Elena Grandi co-portavoce Federazione Italiana dei Verdi

Dallo studio dei provvedimenti fiscali varati dal Governo in materia di economia e finanza per contrastare l’emergenza della pandemia da Covid-19 si nota in maniera eclatante che non sono state prese le decisioni più appropriate.

Questo perché non sono prima state stabilite le priorità: e conseguentemente non sono stati approntati gli strumenti più opportuni per perseguirle.

È una storia che parte dal Decreto Liquidità, che ha portato a un meccanismo di distribuzione dei fondi in grado, allo stesso tempo, di non salvaguardare le imprese e di appesantire inutilmente le banche.

Per poi arrivare all’ultimo Decreto Semplificazioni che, come ha chiaramente spiegato a più riprese Angelo Bonelli in molti suoi interventi, rappresenterà solamente un’aggressione al territorio e aumenterà il rischio di abusivismo e di illegalità.

Il Governo ha commesso due errori macroscopici:

• ha confuso l’alleggerimento della burocrazia con l’eliminazione delle regole del gioco;

• ha, ancora una volta, agito con interventi a pioggia, invece di porsi obiettivi chiari e specifici di ripresa economica e tutela ambientale.

Ma criticare non basta. Bisogna fare un passo in più e indicare cosa veramente serve. Si tratta di far nostro l’approccio della purpose economy, che suggerisce come le imprese avranno successo nel lungo termine solo se faranno proprie finalità sociali in cui i loro dipendenti si identificheranno. La politica economica e industriale dovrebbe accompagnare e facilitare questo importante trend internazionale.

Veniamo adesso a quale potrebbe essere la finalità da perseguire in questa fase. Dobbiamo sostenere una priorità strategica nel refitting e retrofit edilizio, che consentirebbero di frenare il consumo (anche di suolo) e incentivare il risparmio energetico, puntando alla riqualificazione degli edifici esistenti al fine di ridare efficienza, sicurezza e vivibilità alle città.

Il retrofit, in particolare, consiste nell'aggiungere nuove tecnologie o funzionalità ad un sistema vecchio, prolungandone così la vita utile. In ambito edilizio il miglioramento dell'efficienza energetica di un vecchio edificio tramite il suo isolamento termico, il rinforzo antisismico di un edificio non a norma, la conversione di un impianto di illuminazione alogeno o a filamento in un impianto di illuminazione a LED.

Alcune stime attendibili ci dicono che dagli edifici dipende un terzo dei consumi di energia e delle emissioni di Co2: per questo l’edilizia ecologica e la riqualificazione energetica sono cruciali per la riduzione dell’impronta ambientale.

Inoltre, in questo modo si creerebbe un volano positivo per il settore delle costruzioni e al contempo si valorizzerebbe il patrimonio immobiliare italiano.

A questo aggiungiamo un altro obiettivo – uno scopo non più procrastinabile – consistente nell’accelerare gli interventi di prevenzione del dissesto idrogeologico. Occorre promuovere gli interventi di riduzione del rischio idrogeologico e di tutela e recupero degli ecosistemi e della biodiversità (definiti dalla Legge164/2014 e al punto 3 dell’allegato al DPCM 28 maggio 2015). Sarebbe stato questo, dopo il disastro della pandemia, il momento giusto per attivare il Piano Proteggi Italia che prevederebbe per il triennio da oggi fino al 2021 circa 10,8 miliardi di euro per la messa in sicurezza del territorio dal rischio di dissesto idrogeologico. Si tratta di investimenti importanti, ancora una volta, se ben spesi, in grado di fare del bene all’economia e all’ambiente.

Perché è importante valutare la tutela del territorio nella sostenibilità di medio-lungo periodo? Perché siamo in un contesto che lo rende inevitabile:

• Nell'Europa centro-meridionale si registrano ondate di calore, incendi forestali e siccità sempre più frequenti.

• Il Mediterraneo si sta trasformando in una regione arida, il che lo rende ancora più vulnerabile di fronte alla siccità e agli incendi boschivi.

• L'Europa settentrionale sta diventando molto più umida e le alluvioni invernali potrebbero diventare un fenomeno ricorrente.

• Le zone urbane, nelle quali vivono oggi 4 europei su 5, sono esposte a ondate di calore e alluvioni e all’innalzamento del livello dei mari, ma spesso non sono preparate per adattarsi ai cambiamenti climatici.

Il problema è molto più attuale di quanto si possa pensare. Il solo rischio che una serie di costruzioni possa essere travolta da un’ondata o mareggiata anomala, o da una piena improvvisa di torrenti, o che il terreno sotto le fondamenta si sgretoli ne fa calare il valore già oggi. Studi condotti in Germania, Finlandia e California hanno dimostrato, infatti, che le abitazioni potenzialmente a rischio a causa dell’innalzamento del livello del mare sono state vendute, già adesso, a una cifra di gran lunga inferiore rispetto al loro reale valore. Tutelare l’ambiente e il territorio significa, quindi, anche preservare un patrimonio importante per il bilancio delle famiglie.

Gli studi condotti dall’IPCC (“Intergovernmental Panel on Climate Change”, “Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico”) hanno dimostrato che se la temperatura globale dovesse crescere più di 1,5 gradi centigradi, lo scioglimento dei ghiacciai e il conseguente innalzamento del livello degli oceani costringerà 280 milioni di persone a fuggire dalle loro abitazioni. Queste, infatti, verranno letteralmente sommerse dalle acque oceaniche “in risalita”.

In Italia la situazione non è affatto migliore. Anzi. Gli studi condotti dall’ENEA dimostrano che ben 5.500 chilometri quadrati di coste del nostro Paese sono a rischio inondazione. Nell’ultimo anno sono state individuate 7 nuove aree costiere in pericolo, che vanno ad aggiungersi all’area costiera dell’alto Adriatico compresa tra Trieste, Venezia e Ravenna; al Golfo di Taranto; alle piane di Oristano e Cagliari; alla Versilia; a Fiumicino, a Fondi e ad altre zone dell’Agro Pontino; alle piane costiere del Sele e del Volturno, fino alle aree costiere di Catania.

Stiamo parlando di un’estensione enorme: nei 5.500 chilometri quadrati a rischio inondazione risiede la metà della popolazione italiana. Se le contromisure adottate non dovessero rivelarsi efficaci, insomma, il mercato immobiliare in queste aree potrebbe subire un tracollo senza pari.

L’impatto del cambiamento climatico sull’economia, secondo la stima della Relazione sullo Stato della Green Economy presentata a Ecomondo da Massimo Tavoni (docente di Economia dei Cambiamenti climatici al Politecnico di Milano) dal 2050 potrebbe essere quantificato in una perdita di Pil sette volte superiore a quella prevista in altri studi simili. Conseguentemente il divario tra Nord e Sud aumenterebbe del 16% nel 2050 e del 61% nel 2080, anche ipotizzando l’adozione di diverse politiche locali per arginare i problemi ambientali.

Quindi? Quello delle costruzioni è uno dei settori su cui puntare per contrastare gli effetti del climate change e produrre crescita economica in un’ottica di lungo periodo.

Può sembrare apparentemente contraddittorio, ma le oltre 118.000 imprese di Costruzione rilevate dall’ISTAT con il censimento permanente 2019 hanno bisogno di una politica industriale che le porti verso

la green economy.

Tutto questo, ben ponderato negli obiettivi e sapientemente congeniato negli incentivi, potrebbe rappresentare un nuovo fattore propulsivo per i modelli di progettazione architettonica, per il recupero dell’esistente, per l’utilizzo di materiali da riciclo o ecosostenibili, per l’energy technology, e per la resilienza del martoriato territorio italiano.

Di questo abbiamo bisogno, non di condoni edilizi, non di opere inutili come il ponte sullo stretto.

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